C’è ancora bisogno di Dio, nell’Europa secolarizzata di oggi? Gli uomini e le donne del nostro tempo possono ancora trovare nelle risorse delle religioni la risposta ai grandi interrogativi dell’esistenza e della convivenza reciproca? Noi sappiamo che le statistiche religiose invitano al pessimismo; eppure in varie forme tra gli uomini e le donne di oggi la ricerca religiosa si ripropone come istanza significativa in percorsi esistenziali diversissimi. Certo, si tratta di una ricerca più soggettiva, mobile, de-istituzionalizzata, sempre meno inquadrata all’interno delle grandi religioni strutturate. Credere senza appartenere, o meglio, attraverso appartenenze parziali e selettive, è diventata un’opzione diffusa nel panorama religioso contemporaneo. Eppure, benché fragile e minoritaria, la ricerca religiosa si ripropone come un luogo alto della ricerca di senso, degli sforzi di dialogo e dell’azione solidale per l’umanità di oggi.
Un secondo interrogativo riguarda l’esperienza europea e il suo retaggio umanistico.
L’Europa riuscirà ancora a essere, nel XXI secolo, un “continente della speranza”? La società europea vive una visibile contraddizione. Ha fatto grandi passi nella costruzione dell’unità istituzionale ed economica, ma fatica a conquistare i cuori e le menti delle persone e dei popoli che dovrebbero convergere nel disegno di un continente unito, solidale, fiducioso nel proprio futuro. Manifesta un deficit di valori unificanti e di tensione ideale.
Ma nell’orizzonte corrusco di questo inizio di millennio, il bisogno di un collante morale per l’Occidente che si sente minacciato assume anche i tratti di un’ambigua riscoperta del potere aggregante delle identità religiose. Non sono poche né marginali le voci che in questo frangente si stanno rivolgendo al cristianesimo, o talvolta alla tradizione ebraico-cristiana, per chiedere loro di diventare la “religione civile” della nuova Europa, o addirittura dell’Occidente. Accanto ai fenomeni di individualizzazione dei riferimenti religiosi (“credere senza appartenere”), si sta verificando un movimento di segno opposto: “appartenere senza credere”, sollecitando la tradizione religiosa di farsi custode dell’identità culturale malferma dei popoli europei e occidentali.
La sfida inedita della trasformazione multietnica del nostro continente sta mnettendo in crisi l’idea di nazione come comunità condivisa di terra, di lingua, di sangue, e anche di religione: l’irruzione della diversità rappresentata dall’immigrazione, e dal pluralismo religioso che l’immigrazione introduce, provoca chiusure difensive e ansie di perdita dei riferimenti identitari. E’ facile e insieme inquietante fare della religione il mezzo per inalberare una propria identità culturale contro quella di altri.
L’idea della religione come collante del legame sociale è un’idea non nuova, già sviluppata dai pensatori ottocenteschi di fronte ai traumatici cambiamenti del loro tempo. Un’idea che contiene un’intuizione non banale, quella del valore delle tradizioni religiose come principi costitutivi della solidarietà sociale. Ed è anche un’idea che può risultare suadente, perché contribuisce a rilegittimare il ruolo della religione sulla scena pubblica. Ma è un’idea gravida di rischi, perché porta a ridurre il cristianesimo entro il perimetro della civiltà europea e occidentale, come una sorta di “religione tribale”, proprio in un’epoca in cui il cristianesimo è diventato mondiale e sta sempre più fuoriuscendo dai suoi confini storici.
Nello stesso tempo, il deficit di identità e di coesione che angustia l’Europa rappresenta una sfida per il modello tradizionale della laicità dello Stato, intesa come indifferenza di fronte alle risorse delle religioni. L’accresciuto pluralismo delle fedi obbliga a disegnare nuovi rapporti tra istituzioni civili e confessioni religiose. L’Europa è chiamata a dimostrare di saper costruire un futuro in cui le religioni non siano più un fattore di discordia, ma protagoniste dell’edificazione di una civiltà più fraterna e accogliente.
Come Movimento ecclesiale di impegno culturale non abbiamo delle risposte preconfezionate a questi interrogativi, né tanto meno posizioni da rivendicare. Il nostro impegno associativo è quello di alimentare una fede pensata e pensante, necessariamente aperta allo scambio con quanti hanno seguito altri percorsi di ricerca o professano convinzioni diverse. Neppure chiediamo delle risposte definitive agli illustri ospiti, espressivi di differenti sensibilità ed esperienze, che hanno accettato l’invito a condividere questa riflessione a più voci. Nello stile di una discussione aperta e cordiale, chiediamo a loro e a tutti i partecipanti di percorrere insieme un tratto di strada alla ricerca di qualche riflesso di una luce più grande, capace di illuminare i nostri passi e le nostre vite. |