I.
È necessario osservarsi dall’esterno prima di riflettere su di sé. A chi considera la storia dell’Europa dall’esterno è immediatamente evidente, rispetto all’Asia o all’Africa, che
l’Europa è un continente della speranza
Speranze nel futuro e delusioni del presente ne hanno messo in moto la storia, che è diventata storia di rivoluzioni, di riforme e di rinascite.
Se oggi l’Europa vuole avere futuro e vuol significare qualcosa per il mondo, allora questo continente, con la sua cultura e la sua politica, con la sua economia e il suo ordinamento sociale, deve rinascere dallo Spirito della speranza e risvegliarsi a nuova vita.
Questa mattina vogliamo cercare le tracce di questa speranza nella polvere della storia e orientarci al futuro con esse.
L’Europa è stata continuamente reinventata nella sua storia bimillenaria. Per questo motivo le tradizioni europee hanno la caratteristica di non legarci a un lontano passato, affinché manteniamo il possesso del presente. Sono tradizioni portatrici di una speranza più grande, non ancora realizzata e quindi insoddisfatta, che ha il proprio tempo ancora davanti a sé. Ogni ricordo ci conduce in quel futuro che giace nascosto nel passato, verso le speranze con cui i nostri percorsi hanno dato vita e forma al futuro. Ne nomino solo alcuni:
- Quali sogni furono messi in gioco nel Sacro Romano Impero degli imperatori cristiani?
- Con quali prospettive la Santa Chiesa si liberò dalla violenza di questi imperatori nel Medioevo?
- Quale sogno dell’età classica condusse l’Italia al Rinascimento?
- Con quali aspettative i popoli del Nord-Europa si presentarono alla Riforma della Chiesa e della società?
- Quale sete di libertà mosse le rivolte contadine del XVI secolo?
Le rivoluzioni con cui iniziò la modernità europea sono: la great rebellion e la glorious revolution in Inghilterra, la rivoluzione francese e americana, il Risorgimento in Italia e infine la rivoluzione socialista in Russia nel 1917.
Nelle rivoluzioni democratiche la borghesia realizzava il proprio mondo politico, adeguato a quella rivoluzione industriale dalla quale è nato il mondo moderno. Nelle rivoluzioni socialiste il proletariato cercava socialità e dignità umana.
Con ciascuna di queste rivoluzioni la speranza dell’Europa rinacque a nuova vita. Con ciascuna fece il suo ingresso un nuovo modello di Uomo, mai esistito prima, e venne fondato un nuovo stile di vita che cambiò il mondo. Osserviamo soltanto lo stile architettonico.
In Cina e in Giappone è lo stesso stile da millenni, quello con cui i templi armonicamente costruiti promettono stabilità ed eternità – in Europa nasce con ogni epoca un nuovo stile: dal romanico al gotico, dal gotico al Rinascimento, dal Rinascimento al barocco, dal barocco al classicismo, dal liberty al moderno, dal moderno al postmoderno, per nominare solo alcune trasformazioni fondamentali. E con il mondo che chiamiamo “moderno” il cambiamento delle mode, il rinnovamento del nuovo non è più soltanto storia, ma è infine diventato programma per il futuro.
L’Europa è uno spazio culturale dell’inquietudine.
L’Europa è una creatura dalle aperture rivoluzionarie al futuro.
La nostra è storia di rapidi progressi e di catastrofi distruttive. I progressi e le catastrofi sono una speranza meravigliosa e allo stesso tempo terribile. La speranza determina l’Europa nel bene e nel male. Non possiamo sottrarci a questa speranza. Dobbiamo occuparci di definirla, se vogliamo restare e diventare europei.
II.
L’anima dell’Europa assomiglia però, oggi, al paesaggio di un cratere bruciato. I vulcani sono spenti. I fuochi dell’esaltazione sono estinti. Ceneri scure coprono tutto ciò che vive. Scepsi e malinconia si diffondono e fanno apparire l’Europa vecchia e grigia. Abbiamo perso l’orientamento. Le grandi passioni per un futuro migliore sono in frantumi. Non ci crediamo più capaci di nulla di grande. A cosa è dovuto?
È dovuto alle catastrofi del XX secolo:
dapprima ci fu, tra il 1914 e il 1918, la prima inattesa “catastrofe europea” (europäische Urkatastrophe) della guerra mondiale. Le potenze mondiali più progredite, le nazioni cristiane d’Europa, che possedevano enormi ricchezze coloniali, si attaccarono e si distrussero a vicenda nelle battaglie più sanguinose che il mondo fino a quel momento avesse visto. Nelle battaglie della prima guerra mondiale la speranza nel progresso del secolo XIX affondò nell’abisso dell’annientamento. Il sogno borghese di un’Europa liberale, colta e aperta al mondo fu sepolta insieme ai morti. Quel che si produsse dalle trincee fu qualcosa di completamente diverso: il nichilismo europeo, che portò a dittature fino ad allora sconosciute, sprezzanti della dignità umana.
Due nuove speranze sorsero dopo quella prima catastrofe europea: il comunismo socialista in Russia e il fascismo/nazionalsocialismo anticomunista.
Dalla caduta del regime zarista in Russia si affermò il socialismo marxista-leninista-stalinista, con l’antica speranza nella futura uguaglianza di tutti gli uomini in una società senza classi. A Pietroburgo nel 1917 fu proclamata la “rivoluzione mondiale” e più della metà dell’umanità venne catturata da questa speranza; ma fu imposta con la “dittatura del proletariato” e distrusse la sete di libertà dei popoli. Nel 1990 questo progetto, frutto di una grande speranza, crollò. Glasnost e la perestroika permisero una disgregazione dell’Unione Sovietica senza spargimento di sangue. L’uguaglianza senza la libertà non funziona. L’Europa oggi è di nuovo al punto in cui si era già trovata una volta, nel periodo antecedente alla prima guerra mondiale. La cortina di ferro è scomparsa; la Comunità Europea si estende all’Europa dell’Est.
Il nuovo nazionalismo nell’Europa dell’Ovest acquisì la forma violenta del fascismo in Italia e della dittatura hitleriana in Germania. La dittatura nazista, con la seconda guerra mondiale e con delitti contro l’umanità ritenuti impossibili, distrusse la vecchia Europa così a fondo che dopo il 1945 non era più riconoscibile, tra paesaggi colmi di macerie e peregrinazioni di popoli di rifugiati. Proprio con gli antichi simboli di speranza cristiana rappresentati dal “regno dei mille anni” (tausendjährigen Reich) e dal “condottiero della fine dei tempi” (Führer der Endzeit)(1) furono uccisi milioni di persone e altri milioni furono portati a morire. La speranza non tollera la violenza; vuole la vita.
Queste ultime eruzioni vulcaniche del socialismo dittatoriale e della brutale dittatura nazista hanno bruciato del tutto l’anima dell’Europa e l’hanno portata ad ammalarsi fino alla morte. Noi, che siamo sopravvissuti e che siamo nati dopo, siamo “bambini bruciati”, che ora temono il fuoco. Non cerchiamo avventure e non vogliamo nessun esperimento ulteriore. “Pensare in modo chiaro e non sperare nulla” recita un motto della generazione del dopoguerra. In questo modo, però, andarono perse anche le idee-guida per l’Europa e per il suo futuro.
Oggi l’Europa è unita, ma in primo luogo soltanto – e neppure dappertutto – dal denaro comune. Siamo diventati la terra dell’Euro. La nostra è un’unità economica. Abbiamo la Commissione Europea a Bruxelles e il Parlamento Europeo a Strasburgo; ma la maggior parte di noi vive nei suoi confini regionali e nazionali. Cosa può essere una Commissione Europea senza una cultura europea? Dovremmo essere una comunità di “valori”, ma dove sono i valori comuni? Abbiamo il progetto di una Costituzione comune, ma è senza riferimento alla trascendenza.
Siamo diventati un’Europa senz’anima? Dobbiamo “dare un’anima all’Europa”? Senza nuovo orientamento sorge un’Europa senza speranza e senza significato per il resto del mondo.
Dall’Europa vennero al mondo democrazia e diritti umani, dall’Europa vennero al mondo liberalismo e socialismo. Dall’Europa venne al mondo la civilizzazione tecnico-scientifica. Dall’Europa vennero al mondo le fiaccole della speranza in un futuro comune per i popoli della terra. Cos’accade oggi: non nasce più nulla? Si chiedono le persone in Cina. E le persone in Africa si chiedono se il capitalismo, la Coca Cola e il McDonald sia tutto ciò che possono ancora aspettarsi dall’Europa. Non abbiamo più nulla da offrire?
III. L’Occidente o l’Europa?
La prima idea che nel XX secolo emerse dopo le catastrofi delle due guerre mondiali non fu “l’Europa”, ma “l’Occidente”. Sotto di essa si raccolsero Konrad Adenauer, Robert Schumann e Alcide De Gasperi e posero le basi per la riconciliazione e la nuova comunità dei popoli dell’Europa dell’Ovest. Con “Occidente” s’intendeva “l’Occidente cristiano” ed era definito polemicamente contro l’ateo Est.
“L’Occidente” era stato l’idea di pace della Santa Alleanza nel XIX secolo, con cui le antiche potenze feudali volevano porre fine alla rivoluzione francese e reprimere le libertà della borghesia. Naturalmente alla Santa Alleanza apparteneva anche la devota Russia degli Zar.
Lo spazio dominato e unificato dagli imperatori e da Roma viene però nominato “Occidente cristiano” fin dal X secolo. Nel Medioevo l’uso della lingua latina lo contrapponeva all’“Oriente cristiano” di Bisanzio, in cui si parlava greco. La separazione avvenne nel 1054 con la reciproca condanna da parte delle due Chiese. “L’Occidente” fu poi, attraverso i secoli, il nome per l’espansione della cristianità e sorse dal trasferimento giuridico del Sacro Romano Impero – translatio imperii – dal mondo antico del Mediterraneo all’Europa centrale. Ancora oggi l’Europa è divisa in Occidente latino e Oriente ortodosso. Il confine – chiamato anche linea di Teodosio – sui Balcani è quasi impenetrabile. I popoli latini hanno sofferto un’altra storia rispetto ai popoli del regno ottomano. Fino alla svolta ( Wende ) del 1990(2) si svolgevano da noi dibattiti pubblici sull’opportunità di estendere l’Europa soltanto fino ai confini dell’Occidente latino, per preservare l’unità storico-linguistica e storico-ecclesiastica dell’Occidente. Per fortuna quest’idea della separazione del continente della speranza a seguito dell’idea limitata di “Occidente cristiano” è scomparsa dopo il 1990.
“Europa” è invece una parola umanistica. Il nome nasce nel Rinascimento ed è un’alternativa polemica all’“Occidente cristiano”. “Europa è un concetto in concorrenza con quello di Occidente”, affermava Eugen Rosenstock-Huessy, ne Le rivoluzioni europee (Die Europäischen Revolutionen ). L’Umanesimo-Rinascimento rifiuta la classicità cristiana e promuove la rinascita della classicità pagana. Rifiuta lo Stato cristiano e ricerca piuttosto lo Stato umano e la cultura secolare, non religiosa. Quest’idea umanistica di Europa fa il suo ingresso in contrapposizione all’“Occidente cristiano” dal 1450 circa e si afferma vittoriosa all’epoca dell’Illuminismo e della secolarizzazione. L’“Occidente” aveva ancora i confini netti della Chiesa cattolica romana, ma nulla di tutto ciò è contenuto nell’“Europa” geografica. La Russia e la Turchia furono incluse nei moderni concetti di Europa, perché l’Europa è un continente che si definisce in rapporto all’Asia, all’Africa e all’America. L’“Europa” rappresenta l’Umanesimo moderno, post-cristiano, della dignità umana (Pico della Mirandola), dei diritti umani (rivoluzione francese), della tolleranza, dello Stato secolarizzato e laico, così come l’“Occidente” rappresentava i valori cristiani della vita, dell’amore del prossimo, della compassione e della carità.
L’“Occidente” era un concetto culturale, così come lo era l’“Europa”. Entrambi i concetti, però, non furono abbastanza forti da evitare le catastrofi del XX secolo. Per questo motivo oggi non convincono più. La rinascita dell’“Occidente cristiano” contro l’Est rosso era un’utopia conservatrice. L’idea odierna di Europa secolare non è altro che un’invocazione romantica di quei valori umanistici che sono stati traditi nelle guerre mondiali del XX secolo. “Il contenuto culturale e spirituale dell’Europa è evaporato nella guerra mondiale” (Eugen Rosenstock-Huessy).
L’idea di “Europa”, però, è nata da quella di “Occidente” e anche nella critica si nasconde una prosecuzione. Per questo l’idea di Europa resta prigioniera nei limiti dell’idea di Occidente. Chi percepisce dunque ancora oggi la rivoluzione d’ottobre e la speranza socialista come una speranza europea? San Pietroburgo non è una città europea e Istanbul una città orientale?
Col concetto di “Occidente cristiano” dovrebbe essere stabilito il carattere cristiano dell’Europa. Nell’anno 1800 il poeta tedesco Novalis scriveva il famoso saggio La cristianità o l’Europa, per porre allo stesso livello entrambe le figure di umanità. Anche la Santa Alleanza voleva mantenere la parte di terra chiamata Europa quale rappresentante del mondo cristiano. Non altrimenti pensavano alcuni europei occidentali nel dopoguerra e riducevano così il cristianesimo all’Europa dell’Ovest. Questo però non va: i due concetti di Cristianità e di Europa hanno un contenuto molto diverso. Per esprimerlo con forza: l’Europa può essere cristiana, ma il cristianesimo non può più essere soltanto europeo. Ha abbandonato da tempo il suo ruolo di religione romana dell’impero o di religione civile europea o di religione dell’Ovest ed è diventata religione mondiale. Un terzo dell’umanità – 2 miliardi e 200 milioni di persone circa – sono cristiani e la maggior parte di essi non vive nel limitato spazio europeo, ma in Africa, in Asia e in America. Ci sono certo ancora gli antichi centri a Roma e a Ginevra, ma gli equilibri si sono spostati. Il cristianesimo è diventato policentrico. Persino in Cina il cristianesimo non è più una religione occidentale, ma una possibilità propriamente cinese. È un fenomeno da valutare positivamente o negativamente?
Quando, con la secolarizzazione dello Stato, il cristianesimo ha perso in Europa il suo ruolo di religione di Stato ha potuto diventare secolare, vale a dire mondiale. È diventato universale nel suo intento missionario e proponibile dappertutto. La cristianità e l’Europa si rapportano in modo asimmetrico, non sono più sovrapponibili. In questo senso non è da biasimare che non ci sia alcun riferimento al cristianesimo nella nuova Costituzione europea. Come cristiano sono in Europa cittadino di due mondi: politicamente sono cittadino tedesco del limitato mondo europeo, ma come cristiano sono membro dell’intera cristianità della terra e mi sento a casa allo stesso modo nelle chiese della Cina e della Corea così come in quelle d’Italia e d’America – e di Tubinga.
Per il concetto post-cristiano, umanistico di Europa è diverso: questo concetto culturale non è relativo alla Chiesa e nemmeno al solo cristianesimo. I valori della dignità e dei diritti umani sono universali e riferiti all’umanità intera. I diritti umani sono stati posti anche a fondamento delle Nazioni Unite, dell’ONU, e diventeranno, come speriamo, il fondamento di una comunità umana mondiale. Sono per questo non cristiani? La cristianità non ha, per questo, rapporti positivi con i valori umanistici d’Europa?
Se ci domandiamo a qual fine la Chiesa sia a questo mondo, giungiamo a questa risposta: la Chiesa è qui per il Regno di Dio che viene. Il Regno di Dio che viene, noto nelle tradizioni di speranza cristiana come “la nuova umanità”, “la nuova creazione” e la presenza di Dio, è contenuto in tutte le cose. È universale. Perciò comprenderemo l’universalità dei diritti umani come anticipazione del Regno di Dio universale e saluteremo la globalizzazione come un passo verso la ricomposizione dei diversi popoli in un’unica umanità.
L’“Europa” umanista non è né non cristiana né post-cristiana, ma è una forma storica della speranza cristiana nel futuro Regno del compimento della storia. Dio ha creato gli uomini a sua immagine, con pari dignità e diritti in ogni luogo e li salverà dalle loro deformazioni della sua immagine, finalmente per compierli. Chi spera in questo non può essere estraneo all’idea umanistica di Europa. Che si sia affermata nei paesi cattolici in contrapposizione alla gerarchia ecclesiastica è un fatto storico, ma non cambia in nulla il suo essere fondata sulla speranza universale della cristianità nel Regno. Quest’Europa, come idea culturale, porta d’altro lato la Chiesa a riflettere sulla sua speranza estesa a livello mondiale: la Chiesa riguarda qualcosa di molto più importante della Chiesa, riguarda il Regno di Dio e la sua giustizia!
IV. La nuova Europa: speranza per il mondo
Dal 1990 il mondo occidentale, gli Stati Uniti e la Comunità Europea diffondono con zelo missionario le idee politiche di “libertà, diritti umani e democrazia”. Questa visione, però, ha già duecento anni di età e affonda le sue radici nella rivoluzione americana e in quella francese. Oggi non è sufficiente, perché 1) trascura la dimensione sociale dell’uguaglianza di tutti gli uomini e 2) non ha riguardo per la natura della terra, con cui la cultura umana deve raggiungere un equilibrio persistente e in grado di garantire la sopravvivenza.
Perciò propongo la seguente visione del futuro, più approfondita:
- Equilibrio tra libertà e uguaglianza: la solidarietà
Con l’estensione del mondo moderno l’Europa ha trasmesso ai popoli della terra due ideologie: il liberalismo borghese e il socialismo proletario. L’uno comprende la libertà dei singoli, l’altro l’uguaglianza degli uomini tra loro. In tutti gli esperimenti sociali del mondo moderno è in gioco l’equilibrio tra libertà e uguaglianza, tra diritti della persona e diritti della comunità. Quando l’Europa era ancora divisa in Est e Ovest, qui si ostentava la libertà, là l’uguaglianza. Dopo il crollo del socialismo sovietico c’è solo più, là come qua, il neoliberismo. La deregulation neoliberale dell’economia crea però disuguaglianze così grandi tra manager e lavoratori, tra i pochi ricchi e i molti poveri, che l’ordine democratico della comunità collettiva è minacciato. La democrazia si fonda, infatti, sull’uguaglianza dei cittadini, ma il neoliberismo crea disuguaglianza. Questo non può andar bene.
I rivoluzionari della rivoluzione francese sapevano com’è difficile mettere in relazione l’una all’altra queste sorelle nemiche, “libertà” e “uguaglianza”, e allo stesso tempo realizzarle. Cercarono il legame comune nella “fratellanza”, la “sorellanza” fu poi aggiunta più tardi da donne emancipate. Sono concetti emotivi, che si riescono a realizzare solo con difficoltà. Ma se li traduciamo in “giustizia sociale” e “solidarietà” si può certamente cominciare a metterli in pratica. La giustizia sociale, che dà e richiede “a ciascuno il suo”, è perciò nella condizione di racchiudere in un concetto comune libertà e uguaglianza.
A favore della libera iniziativa del singolo abbiamo la “libera economia di mercato”. A favore dell’uguaglianza di tutti i cittadini abbiamo l’“economia sociale di mercato”, un’economia di mercato che sia responsabile socialmente e conforme alla giustizia sociale. “Ce n’è abbastanza per tutti”: questa è la promessa del Regno di Dio. Cosa questo significhi concretamente nella situazione dell’economia di mercato neoliberista è stato elaborato con crescente chiarezza nelle encicliche papali d’argomento sociale, dalla Rerum novarum del 1891 alla Popolorum progressio del 1967 alla Sollicitudo rei socialis del 1988. Solidarietà, comunità e partecipazione attiva di tutti al processo sociale sono le forze che legano libertà e uguaglianza e che abbandonano sia il liberismo sia il socialismo nella loro unilateralità.
La vecchia Europa nel mondo è ormai nota soltanto per il capitalismo neoliberista, solo in Cina è ancora nota per il socialismo marxista; un’Europa nuova si mostrerà quando riusciremo a fondare una libera comunità solidale. La solidarietà all’interno di una società e la solidarietà tra società diverse rappresentano l’unica possibilità di sopravvivenza dell’umanità. Dal punto di vista di un’analisi a lungo termine solo una società solidale può sopravvivere. Solo con la solidarietà possiamo superare gli attuali pericoli per l’umanità.
Nelle attuali condizioni di disuguaglianza e di impoverimento di così tante persone e così tanti popoli la solidarietà è un modello e una prefigurazione della signoria di quel Regno divino in cui la pace e la giustizia si baciano.
- La ristrutturazione su base ecologica della società industriale: cultura della terra
Una nuova rivoluzione della speranza che proviene dall’Europa è senza dubbio il “movimento ecologista”. Alcuni pensano che si tratti soltanto della salvaguardia dell’ambiente, della difesa del clima e del miglioramento nello smaltimento dei rifiuti. Disconoscono così il mutamento di pensiero e di stile di vita che si annuncia col movimento ecologista. Si tratta di abbandonare lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo e di decidersi ad abitare l’ecosistema terra.
Dall’inizio del mondo moderno gli uomini si sono svincolati dalla vita naturale di questa terra e si sono innalzati a dominatori della natura. Attraverso la scienza e la tecnica, come promettevano Francis Bacon in Inghilterra e René Descartes in Francia, gli uomini sottomettono le forze della natura e di recente anche quelle della propria vita. In questo modo però gli uomini moderni si estraniano dalla natura e si pongono da dominatori nei suoi confronti. La degradano a materia del loro sfruttamento. Alcuni psicologi lo hanno definito a ragione il “complesso di onnipotenza” dell’uomo moderno, ossessionato dal potere. “Sapere è potere”, viene detto, e tramite le conoscenze scientifiche l’uomo acquisisce potere sulla natura. Può dividere gli atomi e cambiare il proprio codice genetico. Può accumulare potere sempre più illimitato, ma cosa vuole iniziare a fare con questo potere? Ogni anno siamo meglio equipaggiati per fare ciò che vogliamo, ma cosa vogliamo fare veramente? Il mero accumulo di potere non è certo uno scopo ragionevole. Distrugge la natura senza motivo.
Il movimento ecologista ha uno scopo ragionevole. Detto con i greci e con i cristiani, è l’ecumene: la terra abitabile e un’umanità che trova dimora nell’ecosistema terra. “Patria (Heimat) dell’identità”, come diceva Ernst Bloch. Se lo scopo del progresso umano non è il dominio della terra, ma l’abitare umano in essa, allora dobbiamo: 1) prendere distanza dal “complesso di onnipotenza” moderno e comprendere che siamo solo uomini, creature in una comunità di creature, insieme ad altri abitanti di questo pianeta blu e 2) attribuire alla ricerca scientifica sulla natura altri obiettivi e un diverso interesse rispetto a quello di dominio che ha finora prevalso. Perché è necessaria questa svolta? Perché la natura della terra è più estesa di quanto potrà mai essere la nostra cultura, e perché noi uomini non siamo padroni, ma parte della natura stessa.
La terra può vivere senza il genere umano e lo ha già fatto per milioni di anni, ma noi uomini non possiamo vivere senza la terra, perché siamo creature terrestri. La terra ci porta, non siamo noi a portare la terra. Noi siamo quindi uomini dipendenti dalle condizioni di vita della terra, ma la terra non è dipendente da noi. Da questa semplice considerazione segue che la civilizzazione umana deve integrarsi nell’ecosistema della terra; non può, al contrario, esser sottomessa la natura della terra al dominio umano.
Solo gli stranieri invasori sfruttano la natura, abbattono i boschi, esauriscono i prati da pascolo, pescano i pesci fino a estinguerli e proseguono oltre come nomadi. Gli abitanti di ciascuna regione, invece, difenderanno le facoltà riproduttive della loro terra, dei laghi e dell’aria. Molti conflitti tra interessi economici ed ecologici sono oggi conflitti tra imprese straniere e abitanti autoctoni. Questo ci porta alla domanda autocritica: noi uomini siamo stranieri o siamo abitanti della natura? La nostra dimora (Heimat) e la nostra speranza si trovano su questa terra oppure altrove in qualche indefinito al di là?
Il potenziale sempre più sviluppato di scienza e tecnica non deve essere investito in una lotta distruttiva per il potere, può anche essere utilizzato dall’umanità per una più consistente abitabilità della terra. Allora la creazione non sarà soltanto custodita, ma anche ulteriormente sviluppata verso il suo fine. Questo pianeta terra è destinato a essere la casa comune di tutte le creature della terra e deve diventare la dimora (Heimat) per la comunità di tutti gli esseri viventi.
Secondo la visione cristiana la terra è destinata a diventare il posto in cui Dio abita, “come in cielo così in terra”. Quando viene l’Eterno per “abitare” sulla terra essa si rinnova a “tempio” della divinità. Il Dio senza pace della storia giungerà alla sua pace. Questa è la speranza ebraica e cristiana per questa terra: “E poi, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia” dice la seconda Lettera di Pietro (2Pt 3,13).
Alle condizioni attuali di distruzioni della terra in costante aumento la nuova cultura ecologista è un modello e un’anticipazione di quella terra che vive nella giustizia e nella quale Dio sarà tutto in tutto.
V. La sorgente della speranza europea
Se dopo lo sguardo nel passato e nel possibile futuro d’Europa scendiamo in profondità e cerchiamo la sorgente per le speranze, le rivoluzioni e le catastrofi d’Europa ci imbattiamo in un mistero divino. L’apostolo Paolo chiama questo motore di tutti i movimenti umani nel futuro il “Dio della speranza”. Questo è singolare. Nessun’altra religione al mondo lega la divinità alla speranza umana nel futuro. È noto che gli dei si trovano nel loro beato cielo divino. È nota la trascendenza dell’Immutabile, uguale a se stesso per l’eternità. Ma un Dio con le “qualità dell’essere” (Ernst Bloch), un Dio che è davanti a noi e ci precede, esiste solo nella Bibbia di ebrei e cristiani. Il Dio che non solo è e non solo è stato, ma anche che “viene”, è nuovo.
Questo è il Dio d’Israele, che conduce il suo popolo dalla schiavitù alla terra promessa della libertà, come racconta la storia dell’Esodo, e lo precede di giorno in colonne di nuvole e di notte in colonne di fuoco.
Questo è il Dio della Resurrezione di Cristo dai morti, che conduce i suoi nel fuoco e nel soffio tempestoso dello Spirito Santo, come annuncia il Vangelo, nella vita eterna del mondo futuro.
Questo Dio ci aspetta e ci viene incontro dal futuro. «Ecco, io faccio nuove tutte le cose!» recita il grande invito al Suo futuro (Ap 21,5).
Il futuro non è qualcosa di secondario nello spirito dell’Europa, bensì l’elemento della sua fede, la musica dei suoi canti, il colore dell’aurora sulle sue immagini. «La notte è avanzata, il giorno è vicino» (Rom 13,12): questo è il sentimento del tempo con cui la Bibbia è venuta al mondo. Credere, dice il Nuovo Testamento, «è fondamento delle cose che si sperano» (Eb 11,1).
Lo spirito europeo si è formato nell’accordo e nella contraddizione, nella fede e nel dubbio, nel coraggio e nella disperazione rispetto al mistero divino della speranza. La speranza è la fortuna, il tormento e il destino nel bene e nel male di questo continente. Dallo Spirito di questa speranza l’Europa sarà rigenerata e troverà la sua forma (Gestalt) nel mondo.
Note:
(1) Moltmann fa riferimento alla lettura millenaristica dell’Apocalisse proposta da Gioacchino da Fiore (n.d.t.). Ritorna al testo
(2) Anno della riunificazione della Germania (n.d.t.). Ritorna al testo |