La mia relazione si colloca ultima in questi incontri dei "Settelunedì" che il nostro presidente con felice intuito ha voluto quest'anno titolare "Un soffio di vento leggero" e col sotto titolo "L'esperienza del credere oggi". Su questa "esperienza" abbiamo sentito le voci di Gad Lerner con Beppe del Colle e lo stesso Maurizio Ambrosini nella serata che aveva come tema: "Credere senza appartenere e appartenere senza credere: le forme dell'adesione religiosa". Il teologo Franco Giulio Brambilla è tornato su questa esperienza da un altro punto di vista, rispondendo all'interrogativo da noi posto: "Forza della religiosità, debolezza della fede?"
Per contro, Luigi Accattoli, Marco Politi, quali stimati vaticanisti, e Alberto Melloni come storico, sono stati invitati a esporre il tema del credere, portando l'attenzione credente, laicale e persino per certi aspetti laicista, alla vita e ai problemi della Chiesa in questo impegnativo momento della sua storia e della storia del mondo. Ci è parsa pregevole l'esposizione di Luigi Accattoli circa i Papi da lui conosciuti (questo era il tema) perché lì egli ha fatto emergere in questo tempo critico la grande "umanità" di questi Pontefici. Onesta la relazione di Marco Politi nella catalogazione delle sfide aperte dalla società all'opera di Benedetto XVI e persino commossa l'evocazione della eredità lasciata alla Chiesa da parte di Giovanni Paolo II. Il tema chiesto ad Alberto Melloni verteva piuttosto sul mondo e le sue attese, sapendo tuttavia quanto ineludibile fosse anche qui il riferimento alla Chiesa nelle sue alte dirigenze. Anche la bella serata "ecumenica" (possiamo chiamarla così) con mons. Aldo Giordano e la Pastora Birgit Wolter non poteva che fare parte di questo "blocco" di discorsi di tipo ecclesiologico
Certo non sono mancati i riferimenti diciamo "profondi" circa il "mistero della Chiesa, particolarmente nelle relazioni di mons. Aldo Giordano e del teologo don Brambilla. Possiamo anche dire che lì non erano previsti, ma è stato bello che lì ci fossero. Avevamo invece pensato alla prolusione degli incontri e alla serata conclusiva come ad una specie di "inclusione". La prima, affidata ad un monaco, il priore cistercense di Pra d'Mill, padre Cesare Falletti. Egli apriva dando rilievo a quel "soffio di vento leggero", "ascoltando ciò che lo Spirito dice alle Chiese". Tale era il tema che abbiamo accolto come una severa lezione quando, identificati alla chiesa di Laodicea, ci siamo sentiti toccati nella scarsità della nostra fede e quasi impauriti di fronte alle esigenze di una purificazione rispetto ad una società che insidia i cristiani con una omologazione di diverso segno. Tuttavia, padre Cesare ha voluto sottolineare come proprio solo alla Chiesa di Laodicea il Signore prometta una visita conviviale colma dell'intimità del suo Signore e la forza del suo amore.
Nella inclusione di stasera vorrei proprio fare riferimento a questa "visita", così come ne sono capace, con la cordialità di un convito spirituale, dove i discorsi siano più quelli del cuore che quelli analitici e critici degli esperti della ecclesiologia o della storia. Questi discorsi ci sono stati -audaci o scontati che fossero- accolti con favore o con sospetto, con stima o con qualche difficoltà. Ora sarebbe bello poter dire: ecco i punti conclusivi, ecco le soluzioni utili, ecco i termini di un accordo sui molti problemi. Tutto ciò ci supera: non saranno i nostri "Settelunedì" né altre conversazioni di vario tipo e di diversa iniziativa a tentare di risolverli. Ciò che abbiamo organizzato quest'anno e nei ventinove anni del Meic a Vercelli, sentite le voci di tutte le sensibilità in campo, ha obbedito solo all'intenzione di renderci tutti più consapevoli e, secondo le possibilità e le opzioni, più impegnati nel servizio della Chiesa e del mondo. A ragione Benedetto XVI può dire nella "Deus caritas est": "E' Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché egli ce ne dà la forza.." (n. 35). Dovremmo andare invece su un genere diverso di riflessione, che non è un ripiego sul facile o sullo scontato o una sorta di esaltazione poetica o innica della Chiesa, ma il tentativo di leggerne con ammirazione il "mistero" che la abita.
Potremmo partire da noi stessi, dal fatto che essa ci ha accolto bambini nel suo grembo battesimale e ci ha consegnati a Cristo per una vita nuova. Ci ha nutriti con la santità dei suoi sacramenti e così in essa siamo cresciuti da giovanissimi fino alla attuale adultezza degli anni degli anni e della fede. Nelle nostre prove, a causa delle nostre ingenuità e dei nostri errori, magari abbiamo subito qualche prova da parte sua e ci ha imbarazzati talvolta la visibilità ritenuta eccessiva, l'esibizione giuridica e organizzativa, la mano non consacrata del potere politico su di lei. Ma in ogni caso abbiamo capito che tutto questo celava un "mistero": una realtà imprendibile agli occhi ma vera ed efficace, una santità che non veniva dalla somma delle umane giustizie ma dalla santità dello Spirito Santo, "una bellezza che è tutta al suo interno". E quando siamo stati depressi a motivo delle nostre insufficienze e delle nostre colpe, abbiamo amato questa Chiesa perché è lei che ci difende coi tesori delle sue preghiere e ci aiuta attraverso la comunione dei beni spirituali e con la forza della sua fede sostiene la nostra. Sicché possiamo dire per essere ammessi al convito preparato dal Signore della chiesa: "non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa".
Potremmo andare poi alla contemplazione del suo "genio" teologico, ai contenuti della Rivelazione che essa custodisce e approfondisce e trasmette, alla ricca e antica e sempre nuova e vivente Tradizione, sicché ad ogni nuova generazione di viventi essa può porgere il sempre nuovo messaggio di felicità del Vangelo. Impegnati nella pastorale della cultura, sentiamo la ricchezza sempre attingibile e inesauribile della riflessione cristiana, che è quella dei Padri della Chiesa, quella della grande teologia medioevale, quella vissuta e offerta dalla sublime mistica di uomini e donne nella solitudine dei loro cenobi o nella semplice espressione della pietà popolare. Questo, nell'ordine del sapere. Ma come dimenticare quanti per questa verità che è Cristo hanno dato la vita nel martirio del dono del sangue o in quello più nascosto della missione alle genti o del dispendio quotidiano per i figli, per i fratelli, per i dimenticati, i reietti di tutti i tipi. I bisognosi nello spirito e nel corpo? Come non far memoria di tutta la ricchezza eucologica, liturgica e artistica della storia cristiana?
Certo, percorrendo questa linea positiva della storia, non è difficile -anzi è quanto balza subito agli occhi di chi ha delle pregiudiziali nei suoi riguardi- trovare episodi disdicevoli, momenti sfavorevoli, scelte inadeguate. Tutti noi pensiamo a questo punto con quale spinta di verità e con quale audacia pastorale Giovanni Paolo II abbia chiesto solennemente di fronte al mondo nell'anno del Giubileo il perdono per tutte le insufficienze riscontrate nella millenaria storia della Chiesa. Anche Benedetto XVI nella enciclica "Deus caritas est" con la delicatezza che lo contraddistingue, a proposito del "giusto ordine della collettività" dice: "E' doveroso riconoscere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo." (27) Questi pronunciamenti così autorevoli ci consentono un approccio sereno e libero alla nostra storia, ci esimono perfino dal ricorso ad una apologetica storica di breve respiro e di incerto risultato. E certamente libera l'opzione per il cristianesimo e rende più accessibile "la porta della fede" a chi non si riconosce ancora in essa.
I nostri "Settelunedì" hanno tenuto conto di queste difficoltà che sono alla superficie del nostro vivere cristiano e dei problemi che attraversano l'agire storico della Chiesa, oggi. Crediamo che sia un segno di sensibilità ecclesiale e, come dirò, un modo non così consueto e facile di esprimere il nostro amore per la Chiesa. Abbiamo tenuto conto di quanto si dice, con una terminologia politica ambigua, che i cristiani oggi sono "in minoranza". Per certi aspetti, è vero, nonostante "il ritorno di Dio" (Marco Politi) o "la rinascita del sacro". Ci rendiamo conto, entro la realtà "del piccolo gregge" di vivere in una società "profondamente mutata dalla tecnica, segnata dal benessere, percorsa dai conflitti, confusa dal moltiplicarsi dei messaggi (card. Martini). Di fronte a questo dato quantitativo e di fronte ad una qualità della vita secolarizzata, distratta e tuttavia almeno in molti casi ricercatrice, gaudente e tuttavia perennemente insoddisfatta, la Chiesa pone la sua qualità, quella che il mondo non può avere da sé: "i segreti di Dio". Quando la Chiesa ritrova, sia nei periodi della sua floridezza, sia nei periodi della sua tribolazione, la consapevolezza del "piccolo gregge", essa sa che è chiamata a non ripiegarsi su se stessa e sul suo passato per tentare di farlo rivivere, ma attingere dai suoi pozzi, ritrovando il suo specifico, quale condizione d'efficacia della sua missione. "Attingere dai propri pozzi": questo è anche l'impegno dei nostri "Settelunedì" nel futuro, sempre che abbiamo un futuro. Attingere dai nostri pozzi indica la consapevolezza di una profondità che possediamo ma senza escludere la ricchezza di altri. Questa consapevolezza e questa volontà di attingere al nostro "tesoro" sono rese più decise dal fatto che l'allargamento degli orizzonti culturali, sopratutto attraverso i mezzi della comunicazione sociale, ha sottratto alla nostra vista la centralità geo-storica del cristianesimo in cui generazioni di cristiani sono stati educati e lo ha collocato accanto ad altre culture e religioni. Questa cultura planetaria pone anche il cristianesimo nel rischio della relatività, cioè di perdere la propria assolutezza. Di fronte poi all'impatto violento degli avvenimenti e alle reazioni di paura, è quasi normale che di primo acchito sorga "il senso del nemico". Trionfa la "categoria del nemico" col suo seguito del sospetto, del rancore, della vendetta. E' ammainata la categoria civile, umana, e cristiana dell'amicizia. (Attualissima l'enciclica di Benedetto XVI.) Noi ci poniamo in questo percorso con quella modalità d'amicizia che con Piero Masuello, Armando Degrandi, Giovanni Rosso e altri amici fin dall'inizio ci siamo dati in questa iniziativa di impegno culturale, tale da nutrire la sapienza dei credenti e la ricerca di quanti si dicono non-credenti.
Mi piaceva dare a questa conversazione inclusiva il titolo che viene da Isaia 6 : "Canterò un canto d'amore per la sua vigna". Non so se è stato un canto il mio, ma so che tutta la vicenda culturale di questi quasi trenta anni, lo è stata, grazie a Dio, ai Vescovi che ci hanno portato e talvolta sopportato e grazie a voi.
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